Passeggiando per Treviso tra musica e pittura

da | Gen 19, 2024 | 0 commenti

In autunno Treviso l’ho sempre esplorata camminando lentamente per le vie, dove i passi risuonando sulle pietre del selciato ricordano la cadenza di un suono piacevole, come quello che si prova durante una passeggiata all’aria aperta, con i sensi tesi a ricordare ogni cosa per poi riempire la mente di belle immagini e di buoni odori. E ad ogni passo agli angoli d’incroci, di slarghi e piazzette, con la scoperta di nuovi spazi anche il paesaggio cambia, evocando a volte un viaggio a ritroso nel tempo, dove si procede camminando e sfiorando appena con gli occhi le pietre dai colori caldi e dolci, per incontrare poi, all’improvviso, il gorgogliare dell’acqua lungo le rive erbose, esposte all’aria e alla luce di un fresco mattino d’autunno.

Ecco, se penso a una musica che si può associare alla mia Treviso autunnale, questa è “Adagio per archi Op. 11del compositore americano Samuel Barber e “Gymnopédies” del compositore francese Erik Satie .

D’estate, invece, quando le pietre rimandano il trasudare della calda luce diurna, per trovare un po’ di frescura si va in bicicletta lungo gli argini del Sile, seguendo i percorsi delle alzaie della Restera. Correndo in bicicletta dentro i tunnel ombrosi e verdi degli argini, che si alternano alle superfici abbaglianti e chiare delle alzaie scavate nella polvere, è come sintonizzarsi dentro il sortilegio di questa natura, che la sterminata fatica dell’uomo ha influenzato con il suo lavoro e tramandato ai propri figli.

Poi verso sera, quando tutti i rumori si smorzano, si passeggia al fresco ascoltando i fruscii delle canne sui bordi del fiume, fino a che l’aria si tinge dell’ombra fosca della prima notte.

Piazza dei Signori

Seguendo i sentieri lungo il fiume, l’incontro con la quiete di queste onde d’acqua, così verdi che sembrano colorare anche i cieli, ricorda le note del Concerto in mi maggiore op. 8 “Le quattro stagioni” di Antonio Vivaldi.

Treviso la ricordo anche così: ascoltando la musica di Vivaldi e guardando un’opera d’arte altrettanto famosa come “La tempesta” di Giorgione da Castelfranco, eseguita nel 1505-’06 a Venezia da uno dei più enigmatici artisti del Cinquecento, morto a soli 32 anni.

Non è strano collegare Venezia con Treviso perché entrambe sono accomunate da molte cose che noi, spesso distratti da mille impegni e pensieri, fatichiamo a ricordare o a riconoscere: come il piacere di saper unire la qualità di ogni singola immagine, in un insieme unico e armonico di natura e opera umana.

Treviso e Venezia avvicinate dall’acqua che genera la vita, e dal sapiente lavoro dell’uomo che unisce tutto ciò che serve al vivere quotidiano, con quello che è bello e armonioso. Per questo motivo amo Treviso come Venezia, e per questo motivo mi viene facile legare la musica alle immagini dell’arte.

La tempesta è una piccola tela a olio e tempera di 83 x 73 cm. conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Tra le opere di questo artista è sicuramente quella più famosa, che sarà d’esempio per gli artisti di ogni epoca.

Nella “Tempesta” di Giorgione lo sguardo si perde e s’incanala seguendo le curve di un ruscello dall’acqua placida e trasparente i cui riflessi, verde azzurro, si perdono nella luce satura di vapori della tempesta in arrivo. In lontananza, un leggero ponte di legno senza parapetti unisce un sentiero, largo e spianato come un’alzaia, agli edifici di una cittadina fiorente che si affacciano sull’acqua.

Ed ecco nel cielo saettare un lampo, che squarcia le nuvole cariche di pioggia e attira la nostra attenzione come una fredda calamita di luce: è questo fulmine a dominare tutta l’opera e a darle un significato moderno di fenomeno in atto.

Poi il nostro sguardo ritorna alla quiete del primo piano, incorniciato da un fitto sottobosco e dalle fronde di due alberi dal fusto alto e sottile, mentre delle antiche architetture classiche rendono questa scena strana e misteriosa, e proprio in questo strano paesaggio agreste, due figure sui lati estremi sembrano complicare, ulteriormente, il senso dell’opera.

Un giovane uomo, appoggiato a un lungo bastone e in posizione rilassata, guarda verso l’altra riva.

Sul lato opposto, adagiata nel profumo di muschio dell’argine, una donna nuda allatta e guarda verso di noi, attraendoci definitivamente e misteriosamente nell’orbita del dipinto, per poi farci ritornare a osservare lo scorrere dell’acqua nel ruscello, fino all’aspro lampo del fulmine tra le nuvole.

Allora è chiaro che le due figure ai lati estremi della scena, proprio perché marginali, esaltano la centralità di una natura armoniosamente impreziosita dall’architettura antica e moderna, come testimonianza dell’intelligenza e del sapere umano: proprio come a Venezia e Treviso.

Serenella Minto
Veneziana, liceo artistico e laurea in architettura. Autrice di articoli e saggi di critica d’arte e di un premiato testo di narrativa, ha collaborato con case editrici alla stesura di manuali di storia dell’arte e architettura. Inserita nell'Albo Speciale dei giornalisti del Veneto. Direttore responsabile della pubblicazione di "Veneto Arte". Curatrice dell’archivio dell’artista veneziano Yvan Beltrame.

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