Roberto Bordin, “Segno, Forma e colore”

da | Apr 17, 2023 | 0 commenti

Roberto Bordin nasce a Mestre e da molti anni risiede e lavora a Mogliano Veneto in provincia di Treviso. La sua passione per l’arte inizia molto presto e lo porta a misurarsi già da bambino con le prime prove di disegno e pittura. Il suo è un interesse costante e appassionato per tutto ciò che è prodotto dalla tecnica: mediante i processi manuali dell’artigianato, meccanici legati all’industria, e poi, simbolici e linguistici della comunicazione e dell’arte.
Anche se la sua formazione iniziale è legata al disegno tecnico, artistico e alla pittura, Bordin è oltremodo affascinato dalla capacità umana di elaborare, attraverso il pensiero e la riflessione, ogni entità fisica o materiale, per questo motivo egli vive il disegno e la pittura come una dimensione esistenziale che lo porterà in seguito a sperimentare nuove tecniche espressive.
Roberto Bordin è un artista sensibile e solitario che, interpretando il mondo reale, esprime e traduce le proprie emozioni e i ricordi con ogni personalissimo linguaggio artistico: nella sua ricerca compaiono le infinite possibilità di combinazione tra gli elementi primari della grammatica pittorica, in altre parole, il segno e la forma, il colore e la luce, lo spazio.

Nelle opere iniziali Roberto Bordin configura una realtà immaginata e ispirata da riflessioni sui linguaggi figurativi contemporanei e sulla cultura del suo tempo. Attraverso un sistema di rappresentazione fondato sulle quattro dimensioni di spazio e tempo, l’artista descrive e crea un mondo reale vagheggiato dove, all’interno di metropoli silenziose, ogni forma sembra legata a un filo di sensazioni empatiche. Con le ultime opere le poetiche dei suoi percorsi artistici arrivano alla pura forma geometrica di vibrazione
percettiva di segni e colori: una ricerca che si concretizza attraverso un processo di stilizzazione che giunge fino all’astrazione.
In ogni inquadratura delle tele di Bordin, che hanno per soggetto le moderne metropoli, il nostro sguardo osserva i tagli obliqui in prospettiva delle città, dove il tempo si è fermato in immagini sospese e vivissime. L’artista indaga il presente e lo blocca o spezza i contorni a cogliere questa realtà con occhio svelto e fugace alla maniera di un “non finito”, al punto da lasciare che il colore coli verso il fondo della tela, come a decidere se affidare queste annotazioni pittoriche alla transitorietà del tempo o alla memoria.

A questa esecuzione fuggevole corrisponde una sospensione temporale da cui l’uomo e la natura sono evaporati, dissolti. Ed è questo paesaggio urbano, al di fuori del tempo, a spingerci verso una dimensione interiore: l’arte che ispira l’artista non vuole avere niente a che fare con il mondo presente fatto di rumore, disordine ambientale e architettonico, guerra e morte, un’arte che
non vuole legarsi a nessuna ideologia o battersi per una causa.
Probabilmente in questa fase di riflessione sulla modernità Bordin colloca forme senza nessuna presenza vitale in uno spazio vuoto e infine inabitabile, dove tutto è immobile in un contesto in cui soltanto la pittura vive attraverso i suoi processi esecutivi di forma, colore e spazio.
In questa struttura urbana emerge: tra i volumi di cemento, ferro e insegne pubblicitarie, una sequenza di auto dove, tra i riflessi colorati dei vetri non esiste traccia alcuna di presenza umana. Alle opere urbane di Roberto Bordin si possono accostare, per certi versi, le immagini fotografiche di Mestre 1991 (Biennale Venezia 2007) di Gabriele Basilico, dove non compaiono altresì figure umane. Foto di città nelle quali sembra che qualcuno, prima dello scatto, abbia eliminato qualsiasi traccia di vita e, perfino, le sagome di possibili veicoli. Le città, sotto lo scatto analitico e freddo, di Basilico, si espongono nella loro più dura realtà, verso la quale l’artista ha tuttavia un sentimento malinconico di empatia.

Questi artisti, Bordin e Basilico indagano un mondo deserto o abbandonato dagli uomini o semplicemente perché il momento e il luogo possono sussistere anche senza la loro presenza. Ma in Roberto Bordin l’assenza umana non vuol dire eliminazione di ogni forma di vita in fotogrammi pittorici di città opache e deserte in bianco e nero. Infatti, nelle sue immagini non compaiono nemmeno le citazioni malinconiche di artisti italiani degli anni Venti e Trenta o lo stile spesso brutalista di Sironi ma luce e colore che permea le città moderne pensate per l’automobile e le nuove tecnologie.
L’artista riflette e annota, come fossero appunti dipinti velocemente sulla tela con colori talvolta brillanti, il fenomeno urbano di città moderne fatte di accostamenti con materiali tecnologici, architettura di avanguardia, edifici di un’epoca passata e percorsi viari con strutture metalliche e intricati prospetti, reticoli d’installazioni con insegne pubblicitarie luminose.
Ed ecco che, al paesaggio urbano ancora riconoscibile nei suoi volumi, servendosi di un linguaggio pittorico di stilizzazione grafica Bordin traspone la nozione della realtà – privata di ogni emotività – in termini squisitamente geometrici perché la geometria è il linguaggio della ragione. Il senso comune, passando per il filtro geometrico – linguistico si spoglia quindi di tutto ciò che non ha un significato per la coscienza e, degli spazi urbani, rimangono solo precisi e nitidi volumi colorati, piani luminosi e purezza di linee ortogonali.

La nuova fase della ricerca pittorica dell’artista veneziano, trapiantato ai confini della Marca trevigiana, sarà legata a riflessioni e ricerche sul passaggio da un neoplasticismo olandese all’astrattismo degli artisti milanesi come Fontana, Rho, Radice e Reggiani. I risultati sono molto interessanti e riguardano opere che mirano più che alla disintegrazione dell’oggetto (qualunque esso sia) alla sua espansione illimitata nello spazio. Altre volte l’oggetto si moltiplica in percorsi chiusi di volumi ancora geometrici,
sviluppandosi come agglomerati plastici sospesi nel vuoto di un universo sconosciuto. Si creano così imprevedibili situazioni compositive ma sempre equilibrate e organizzate come fossero costruzioni di nuove forme abitative nello spazio.

Poi, nel tempo, vi è un passaggio sempre più forte verso l’astrazione e le riflessioni di Roberto Bordin sull’arte e i suoi strumenti d’indagine della realtà diventano la ricerca di un’azione che dipende da esigenze e impulsi profondi.
Non si tratta di inventare segni per esprimere le sensazioni che si ricevono dalla realtà esterna perché è la stessa forma degli oggetti e delle strutture urbane e spaziali che lo conducono verso una figurazione sempre più essenziale mediante un processo di progressiva riduzione, fino quasi alla totale sparizione, dell’immagine naturalistica verso una pittura non figurativa. In fondo, anche la prospettiva dei suoi paesaggi urbani è una struttura geometrica dello spazio, e non è una forma ma simbolo e come tale
può rivestirsi di linee, colori e geometrie.
L’astrazione ottenuta si avvicina a esprimere la densità e profondità dello spazio attraverso il quadrato assunto come forma simbolica dello spazio: elementi grafici e pittorici di linee e strutture di forma quadrangolare con diagonali che rompono la staticità e quadrati, a volte inscritti o avvicinati l’uno all’altro, a formare stesure cromatiche estremamente equilibrate.

Oltre alla pittura Roberto Bordin sente il bisogno di inserire e rappresentare, vicino alle tele dipinte, brani del mondo reale accanto a frammenti di realtà fisica e concreta, con le “scorie” della società moderna. Nascono allora il collage e il papier collé costruiti come forma dipinta e unita sulla tela con brani di realtà e con l’introduzione di materiali del mondo reale e industriale come carta e cartone, ritagli di giornale ecc. fino a veri e propri assemblage.

Serenella Minto
Veneziana, liceo artistico e laurea in architettura. Autrice di articoli e saggi di critica d’arte e di un premiato testo di narrativa, ha collaborato con case editrici alla stesura di manuali di storia dell’arte e architettura. Inserita nell'Albo Speciale dei giornalisti del Veneto. Direttore responsabile della pubblicazione di "Veneto Arte". Curatrice dell’archivio dell’artista veneziano Yvan Beltrame.

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